VENERE IN TEATRO Festival di danza
Poesie del Vuoto - III Edizione
5 - 17 settembre Forte Marghera, Venezia Mestre
EVENTI COLLATERALI
Giovedì 7 settembre 2023 Ore 19:30
Aperitivo con il filosofo Romano Gasparotti
La danza come sapienza plastica del vuoto
LA DANZA COME SAPIENZA PLASTICA DEL VUOTO di Romano Gasparotti
Parlare del vuoto di solito riporta esoticamente all’oriente o agli orienti, a pratiche come quelle dello zen, dello yoga. In effetti, la nostra cultura occidentale si è preoccupata, piuttosto, di elaborare ed evitare l’horror vacui, cercando, in tutti i modi, di rimuovere il vuoto, a partire da una certa interpretazione degli scritti di Aristotele, dove si dice che il vuoto fisicamente non esiste. La rivendicazione delle esperienze del vuoto è riemersa prepotentemente solo nella seconda metà del ‘900, grazie alle pratiche di artisti-pionieri come Yves Klein e, segnatamente, grazie agli sviluppi della modern dance. Nel contemporaneo globalizzato sono proprio le pratiche performative della danza, che hanno accolto ed elaborano quale fulcro del loro operare l’esperienza del vuoto. Potremmo concluderne che la danza contemporanea non è altro che il multilaboratorio, aperto dappertutto, nel quale, nei più differenti modi e nelle più differenti forme, viene messo all’opera lo scavarsi del vuoto nella sua plastica e dinamica potenza non solo artistico-creativa, ma anche politico-sociale.
Un grande artista del secondo ‘900 quale Joseph Beuys, sostenitore del fatto che «ognuno è artista», cioè corresponsabile dell’opera condivisa che è la «scultura sociale» del mondo stesso, nella metamorfica variabilità delle sue interrelazioni, disse:«Dopotutto, i danzatori non fanno altro che muoversi con i loro piedi e le persone che camminano per le strade affollate, in pratica, sono anch’esse dei danzatori.». La danza è l’animazione del teatro del mondo e agisce e coopera a questo fine celebrando l’azione del vuoto.
Non il vuoto come nozione astratta, ma la condivisibilità del creativo svuotarsi, in una condizione globale, nella quale imperversano i meccanismi opposti del riempire e dell’accumulo ad oltranza.
Ma su cosa si esercita l’azione creativamente danzante di un tale svuotarsi? Nei confronti dell’essere Io - Nietzsche scrisse che la danza contribuisce non a dire Io, bensì a fare un Io svuotato di ogni Sé. Nei confronti degli oggetti - l’opera della danza non si identifica con un certo oggetto che dura e permane. Nei confronti della parola - Pina Bausch disse: «Ci sono momenti in cui si rimane senza parole, persi e disorientati. E’ proprio allora che inizia la danza…». Nei confronti di un certo modo radicatissimo di concepire le relazioni. Nei confronti, infine, del comune modo di pensare. Perché la danza, semmai, mette creativamente all’opera quel depensare che un filosofo neoplatonico di età romana, considerava l’ultima realizzazione della potenza massima del pensare stesso. Nel segno del vuoto.
ROMANO GASPAROTTI si è formato filosoficamente con Emanuele Severino, di cui è stato anche assistente all’Università Ca’ Foscari e, collateralmente, ha anche studiato danza contemporanea con Roger Ribes, Jerome Andrews, Dominique Dupuy, Joelle Bouvier.
Col tempo il suo campo di ricerca dall’ambito filosofico-teoretico si è allargato verso il campo estetico delle arti contemporanee, nel quale ha svolto e svolge anche attività di curatore e delle arti performative, nel quale è stato anche autore e coprotagonista di eventi spettacolari di parola, musica e danza.
E’ stato tra i fondatori e i redattori della rivista di filosofia Paradosso(1989-2000); è redattore della rivista di architettura Anfione Zeto e collaboratore di KAIAK Philosophical Journey.
Ha insegnato Filosofia teoretica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università S. Raffaele di Milano e poi, negli ultimi vent’anni, Estetica/Fenomenologia dell’Immagine, presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano(dove ha tenuto anche l’insegnamento di Comunicazione, nel Dipartimento di Terapeutica Artistica). E’ membro del Comitato Scientifico del Museo Internazionale di Arte Contemporanea “Hermann Nitsch” di Napoli e consulente della Fondazione Morra. Fa parte dello staff di docenti teorici del Centro DA.RE. Dance research, fondato e diretto da Adriana Borriello.
Tra le sue principali pubblicazioni, oltre alle principali edizioni dell’opera postuma e inedita del filosofo novecentesco Andrea Emo, alla cura del volume In contrattempo. La pittura malgrado tutto, Mimesis, Milano 2007 e al saggio Saggezza del danzare, in Ermini-Gasparotti-Nancy-Sala Grau-Zanardi, Sulla danza, Cronopio, Napoli 2017: Le forme del fare(scritto con M.Cacciari e M.Donà), Liguori, Napoli 1987; Movimento e sostanza, Guerini, Milano 1995; Socrates y Platon, Akal, Madrid 1996; I miti della globalizzazione, Dedalo, Bari 2003; Figurazioni del possibile. Sul contemporaneo tra arte e filosofia, Cronopio, Napoli 2007; Filosofia dell’eros. L’uomo, l’animale erotico, Bollati Boringhieri, Torino 2007; L’inganno di Proteo. La filosofia come arte delle Muse, Moretti&Vitali, Bergamo 2010; Il quadro invisibile, Cronopio, Napoli 2015; L’opera oltre l’oggetto. Sull’esperienza simbolica dell’evento artistico, Moretti&Vitali, Bergamo 2015; Shozo Shimamoto e l’esperienza artistica quale esperienza poetica del pensare, edizione italo-anglo- giapponese, Edizioni Morra, Napoli 2017; L’amentale. Arte, danza e ultrafilosofia, Cronopio, Napoli 2019.
Ha curato mostre e presentato a catalogo artisti internazionali e nazionali, tra i quali Hermann Nitsch, Shozo Shimamoto, Remo Salvadori, Vito Bucciarelli.
Aperitivo con il filosofo Romano Gasparotti
La danza come sapienza plastica del vuoto
LA DANZA COME SAPIENZA PLASTICA DEL VUOTO di Romano Gasparotti
Parlare del vuoto di solito riporta esoticamente all’oriente o agli orienti, a pratiche come quelle dello zen, dello yoga. In effetti, la nostra cultura occidentale si è preoccupata, piuttosto, di elaborare ed evitare l’horror vacui, cercando, in tutti i modi, di rimuovere il vuoto, a partire da una certa interpretazione degli scritti di Aristotele, dove si dice che il vuoto fisicamente non esiste. La rivendicazione delle esperienze del vuoto è riemersa prepotentemente solo nella seconda metà del ‘900, grazie alle pratiche di artisti-pionieri come Yves Klein e, segnatamente, grazie agli sviluppi della modern dance. Nel contemporaneo globalizzato sono proprio le pratiche performative della danza, che hanno accolto ed elaborano quale fulcro del loro operare l’esperienza del vuoto. Potremmo concluderne che la danza contemporanea non è altro che il multilaboratorio, aperto dappertutto, nel quale, nei più differenti modi e nelle più differenti forme, viene messo all’opera lo scavarsi del vuoto nella sua plastica e dinamica potenza non solo artistico-creativa, ma anche politico-sociale.
Un grande artista del secondo ‘900 quale Joseph Beuys, sostenitore del fatto che «ognuno è artista», cioè corresponsabile dell’opera condivisa che è la «scultura sociale» del mondo stesso, nella metamorfica variabilità delle sue interrelazioni, disse:«Dopotutto, i danzatori non fanno altro che muoversi con i loro piedi e le persone che camminano per le strade affollate, in pratica, sono anch’esse dei danzatori.». La danza è l’animazione del teatro del mondo e agisce e coopera a questo fine celebrando l’azione del vuoto.
Non il vuoto come nozione astratta, ma la condivisibilità del creativo svuotarsi, in una condizione globale, nella quale imperversano i meccanismi opposti del riempire e dell’accumulo ad oltranza.
Ma su cosa si esercita l’azione creativamente danzante di un tale svuotarsi? Nei confronti dell’essere Io - Nietzsche scrisse che la danza contribuisce non a dire Io, bensì a fare un Io svuotato di ogni Sé. Nei confronti degli oggetti - l’opera della danza non si identifica con un certo oggetto che dura e permane. Nei confronti della parola - Pina Bausch disse: «Ci sono momenti in cui si rimane senza parole, persi e disorientati. E’ proprio allora che inizia la danza…». Nei confronti di un certo modo radicatissimo di concepire le relazioni. Nei confronti, infine, del comune modo di pensare. Perché la danza, semmai, mette creativamente all’opera quel depensare che un filosofo neoplatonico di età romana, considerava l’ultima realizzazione della potenza massima del pensare stesso. Nel segno del vuoto.
ROMANO GASPAROTTI si è formato filosoficamente con Emanuele Severino, di cui è stato anche assistente all’Università Ca’ Foscari e, collateralmente, ha anche studiato danza contemporanea con Roger Ribes, Jerome Andrews, Dominique Dupuy, Joelle Bouvier.
Col tempo il suo campo di ricerca dall’ambito filosofico-teoretico si è allargato verso il campo estetico delle arti contemporanee, nel quale ha svolto e svolge anche attività di curatore e delle arti performative, nel quale è stato anche autore e coprotagonista di eventi spettacolari di parola, musica e danza.
E’ stato tra i fondatori e i redattori della rivista di filosofia Paradosso(1989-2000); è redattore della rivista di architettura Anfione Zeto e collaboratore di KAIAK Philosophical Journey.
Ha insegnato Filosofia teoretica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università S. Raffaele di Milano e poi, negli ultimi vent’anni, Estetica/Fenomenologia dell’Immagine, presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano(dove ha tenuto anche l’insegnamento di Comunicazione, nel Dipartimento di Terapeutica Artistica). E’ membro del Comitato Scientifico del Museo Internazionale di Arte Contemporanea “Hermann Nitsch” di Napoli e consulente della Fondazione Morra. Fa parte dello staff di docenti teorici del Centro DA.RE. Dance research, fondato e diretto da Adriana Borriello.
Tra le sue principali pubblicazioni, oltre alle principali edizioni dell’opera postuma e inedita del filosofo novecentesco Andrea Emo, alla cura del volume In contrattempo. La pittura malgrado tutto, Mimesis, Milano 2007 e al saggio Saggezza del danzare, in Ermini-Gasparotti-Nancy-Sala Grau-Zanardi, Sulla danza, Cronopio, Napoli 2017: Le forme del fare(scritto con M.Cacciari e M.Donà), Liguori, Napoli 1987; Movimento e sostanza, Guerini, Milano 1995; Socrates y Platon, Akal, Madrid 1996; I miti della globalizzazione, Dedalo, Bari 2003; Figurazioni del possibile. Sul contemporaneo tra arte e filosofia, Cronopio, Napoli 2007; Filosofia dell’eros. L’uomo, l’animale erotico, Bollati Boringhieri, Torino 2007; L’inganno di Proteo. La filosofia come arte delle Muse, Moretti&Vitali, Bergamo 2010; Il quadro invisibile, Cronopio, Napoli 2015; L’opera oltre l’oggetto. Sull’esperienza simbolica dell’evento artistico, Moretti&Vitali, Bergamo 2015; Shozo Shimamoto e l’esperienza artistica quale esperienza poetica del pensare, edizione italo-anglo- giapponese, Edizioni Morra, Napoli 2017; L’amentale. Arte, danza e ultrafilosofia, Cronopio, Napoli 2019.
Ha curato mostre e presentato a catalogo artisti internazionali e nazionali, tra i quali Hermann Nitsch, Shozo Shimamoto, Remo Salvadori, Vito Bucciarelli.